Puccini, Turandot e Sansepolcro

Giacomo Puccini

Uno dei maggiori compositori operisti italiani di tutti tempi nacque a Lucca nel 1858 da una famiglia che da generazioni contava maestri e cultori della musica. Fu ben presto avviato agli studi musicali che frequentò nella sua città e perfezionò poi in numerosi prestigiose sedi nazionali e internazionali. La sua prima composizione risale al 1877 (I figli dell’Italia bella), l’anno successivo altri suoi lavori suscitarono grandi apprezzamenti del pubblico che gli consentirono di ottenere un importante contratto con la casa di produzione musicale Ricordi. Iniziò, così la fase di ascesa della produzione operistica pucciniana, a partire dall’Edgard, composto a Milano, città in cui si era trasferito con la moglie Elvira. Dopo il discreto successo ottenuto con la Manon Lescaut decise di tornare in Toscana dove acquistò nel tempo eleganti dimore, in particolare quella di Torre del Lago, a contatto con la natura ambiente che prediligeva e costituiva per lui fonte di importante ispirazione.

Fondamentali si rivelarono le collaborazioni con due grandi librettisti, Illica e Giacosa, con i quali sviluppò la stesura delle sue principali opere, felicissimo connubio di musica e parole. Sono gli anni in cui compose la Boheme e la Tosca e in cui fece numerosi viaggi (Londra, Parigi, NewYork,…) in occasione dei debutti e messa in scena dei suoi lavori, e da cui trasse ispirazione per nuove grandissime opere quali la Madame Butterfly e la Fanciulla del West.

Dopo il 1919 Puccini si stabilì in Maremma, dove ad Orbetello aveva acquistato una Torre di avvistamento sul mare, per meglio poter scrivere lontano dalle distrazioni cittadine e dal rumore delle prime realtà industriali. Qui compose tra le altre il celebre Inno alla città di Roma, destinato alle celebrazioni per la Fondazione dell’Urbe e iniziò la Turandot. Ma il maestro morì qualche tempo dopo, il 29 novembre 1924 a Bruxelles, vittima di una patologia molto grave.

Tutto il grande lascito operistico di Puccini risente dello spirito storico del momento e ricalca l’eco delle sue esperienze personali e delle sue forti passioni. Lui stesso si definiva “un potente cacciatore di uccelli selvatici, libretti d’opera e belle donne”.

Fu infatti un assiduo cacciatore, praticava la caccia i nei pressi del lago di Massaciuccoli, dove sorge Villa Puccini, ma anche in altre zone della Toscana sia in Maremma che nelle tenute dei suoi numerosi amici compresa la nostra Valtiberina. Grande buongustaio, amava la cucina toscana, in modo particolare la cacciagione e i prodotti del lago. Altra passione che lo ha attraversò nel corso di tutta la vita fu quella per le donne, anche se rimase comunque, nonostante le numerose crisi, legato alla moglie Elvira fino alla fine dei suoi giorni. Puccini ebbe amicizie intese con molte nobildonne italiane: la contessa Laurentina Castracane degli Antelminelli, discendente di Castruccio che a Lucca aveva fondato la prima signoria italiana, affascinante nobildonna che gli fu vicino quando venne ricoverato in ospedale dopo un gravissimo incidente automobilistico, la contessa Bianca Collacchioni e numerose altre ancora.

Queste donne furono senz’altro fonte per il Maestro di profonda ispirazione nell’impersonare e caratterizzare le protagoniste femminili delle sue opere.

Puccini e la Turandot, la grande incompiuta.

L’opera Turandot, in 3 atti e 5 quadri, fu scritta da Puccini su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, ma rimase incompiuta. Durante un viaggio del Maestro a Milano, Adami gli sottopose una copia della fiaba teatrale scritta dal drammaturgo Carlo Gozzi. Il testo, che si rifà ad un antica fiaba iraniana, colpì subito Puccini che si apprestò con impegno nel musicare questa nuova opera .

Concepì un’ambientazione cinese fantastica, la cui azione, come riportava la stessa partitura, “si svolge al tempo delle favole.” Per creare ricostruzioni originali e contesti realmente esotici utilizzò anche la musica di un carillon, messogli a disposizione da un diplomatico italiano in Cina, che suonava melodie cinesi.

La Cina e Pechino divennero all’interno dell’opera l’ambiente in cui tra sogno e realtà i personaggi si intrecciano in un una dimensione carica di apparizioni, fantasmi e suoni fuori scena.

Puccini si appassionò in particolare al personaggio della protagonista, la principessa Turandot, sanguinaria e cinica, su cui pendeva l’editto del padre Imperatore della Cina, che imponeva alla figlia di sposare il pretendente di sangue reale che avesse svelato tre difficili indovinelli da lei stessa proposti; colui però che non fosse riuscito a risolverli, sarebbe stato decapitato. Il principe Calaf, figlio del re dei Tartari, arrivato insieme alla fedele schiava Liù a Pechino incontra casualmente il padre Timur, e per non correre rischi gli viene raccomandato di tenere segreta la sua identità. Calaf riesce a risolvere gli indovinelli di Turandot, ma la Principessa per non perdere la sua purezza, non vuole concedersi in sposa e cerca di resistere. Dopo una notte di tragedie e tormenti (che raggiunge l’apice con l’aria del “Nessun dorma”) la Principessa dichiarerà il suo amore Calaf.

Le difficoltà di Puccini nella composizione dell’opera artistica si palesarono durante la stesura del finale della messa in musica a cui si dedicò per oltre un anno, senza però trovare una soluzione che lo convincesse. Il lavoro si trascinò per molto tempo fino a che Puccini, ammalatosi gravemente morì qualche tempo dopo a Bruxelles, il 29 novembre 1924, lasciando le bozze del duetto finale interrotte.

L’incompiutezza dell’opera è oggetto ricorrente di discussione tra gli studiosi. C’è chi sostiene che Turandot rimase incompiuta non a causa della morte dell’autore, bensì per l’impossibilità da parte del Maestro di risolvere il nodo cruciale del dramma: la trasformazione della principessa Turandot gelida e sanguinaria, in una donna innamorata .

Il lavoro qualche mese dopo fu portato a termine nella scrittura finale da Franco Alfano.

L’opera fu rappresentata per la prima volta il 25 aprile 1926 al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale interruppe la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!», ovvero dopo l’ultima pagina completata da Puccini, dichiarando al pubblico: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.»

La sera successiva però, sempre sotto la direzione di Toscanini, l’opera fu rappresentata nella sua completezza, includendo anche il finale di Alfano.

Puccini a Sansepolcro

A partire dal 2017 un gruppo di cittadini valtiberini, appassionati di musica e desiderosi di approfondire le tappe storiche caratterizzanti l’Alta Valle del Tevere negli ultimi due secoli, insieme ai principali Club di vallata e sostenuti dal Comune di Sansepolcro, hanno avviato un’interessante ricerca sulla vita del pianoforte civico, uno Steinway Grancoda costruito ad Amburgo nel 1913 e utilizzato inizialmente nelle grandi sale da concerto della Germania. Lo strumento fu poi acquistato nel 1934 dalla nobildonna fiorentina Bianca Collacchioni, che lo collocò infine nella residenza di famiglia a Sansepolcro, più conosciuta come Villa Giovagnoli.

Dalle notizie storiche reperite sono riaffiorate vicende e particolari che conducono all’ ipotesi che il pianoforte possa essere stato suonato anche dal grande Maestro Puccini, fedele amico e assiduo frequentatore dei Collacchioni e delle loro numerose dimore toscane, dove veniva ospitato per comporre musica e per dilettarsi nella caccia, sua seconda grande passione.

La presenza di Puccini a Sansepolcro è stata confermata anche dal recente rinvenimento di alcune lettere originali scambiate tra il maestro e Don Domenico Mercati, parroco di Sansepolcro, con cui Puccini intratteneva rapporti di amicizia e condivideva la passione per la caccia e i cani da caccia. Le lettere sono oggi conservate dai pronipoti del parroco biturgense.

La storia dello Steinway Grancoda, le vicende della nobile famiglia Collacchioni, che, a partire dall’800 ha impresso un forte impulso alla vita economica e culturale della toscana e della Valtiberina, nonchè la presenza nel nostro territorio di Giacomo Puccini, costituiscono una trama affascinante e rappresentano tasselli importanti da ricomporre compiutamente per ricostruire il tessuto culturale, artistico e culturale di allora, base solida e ancora oggi di grande valore per la Vallata.

Il pianoforte biturgense, ha subìto un sapiente restauro eseguito, con utilizzo di esclusivi pezzi originali, a Siena a cura della ditta Ceccacci, esperti rivenditori e riparatori autorizzati e raccomandati dalla casa produttrice tedesca Steinway.

Il 12 maggio 2018 è stato celebrato il ritorno definitivo dello strumento a Sansepolcro e con un’ iniziativa pubblica, alla presenza in qualità di relatore anche di un membro della Fondazione Puccini di Lucca, dopo un indimenticabile concerto operistico in Piazza Torre di Berta, lo Steinway Grancoda è stato riposto presso l’Auditorium di Santa Chiara.

Da allora, superate le limitazioni oggettive collegate alla recente fase pandemica, l’attenzione sulla storia del Pianoforte e la ricerca del passaggio di Puccini in Valtiberina sono riprese con interesse; si è rinsaldata, altresì, la collaborazione istituzionale con la Fondazione Puccini di Lucca che ha prospettato la possibilità di poter includere anche Sansepolcro tra le città che hanno accolto il grande musicista. Sono in corso, inoltre, progettazioni di varie iniziative candidate a essere inserite nell’importante calendario degli eventi celebrativi nel 2024 del Centenario della morte di Puccini.

Qui si innesta ora il nuovo progetto: il 12 giugno scorso è stata costituita da alcuni fedeli e appassionati cultori valtiberini di musica operistica e della storia delle radici locali, l’Associazione Puccini and Friends in Valtiberina, con l’intento di sostenere e proseguire nelle tracce di Puccini anche la valorizzazione dello storico e prezioso pianoforte, affinchè l’intera comunità lo apprezzi, lo conservi e possa per tutti, in particolare per le generazioni future, diventare veicolo di promozione della cultura musicale e di conoscenza del patrimonio storico-artistico di cui il nostro territorio è da sempre fonte di vanto collettivo.